da Corriere della Sera
Varese: l’esperto di trapianti della mano, nonostante la fama mondiale, non ottiene l’incarico. Per il Tar di Milano il concorso va annullato.
La legge è uguale per tutti perfino nelle università? Pare di no. Almeno non alla «Insubria». Dove 9 anni di sentenze su sentenze non sono riusciti a cancellare un concorso per una cattedra di Ortopedia che incredibilmente bocciò Marco Lanzetta. Il più noto dei chirurghi della mano italiani. Come se Varese fosse Paranomia, l’isola della illegalità.
Quando inventò le Loonarie collocandole nel Pacifico sud-orientale, lo scrittore Godfrey Sweven in «Riallaro, l’arcipelago degli esilii», immaginò un gruppo di isole dove trovavano rifugio i pazzi. e come spiega Anna Ferrari nel «Dizionario dei luoghi immaginari» c’erano appunto «l’Isola degli Snob, dove tutti hanno un’aria saccente» e «l’Isola del Giornalismo, dove risiedono gli affetti da grafomania» e «Satutto, l’isola i cui abitanti credono che la loro terra sia la più fertile, ricca e invidiata dal mondo» e appunto «l’isola di coloro che vivono ignorando la legalità»: Paranomia.
L’avesse saputo prima, Marco Lanzetta dice che avrebbe evitato di perdere tempo con gli avvocati. Il guaio è che, pur avendo studiato, vissuto, insegnato e operato da un capo all’altro del pianeta, dal Canada alla Francia, dall’Australia all’Africa, da dove è appena tornato dopo aver passato 17 giorni di «vacanza» tentando di ricostruire le mani a decine di bambini del Togo, del Benin, del Ghana e del Burkina Faso, non immaginava che quel luogo esistesse davvero.
Tutto comincia quando il chirurgo, dopo essersi specializzato in chirurgia della mano nel New South Wales e in Quebec, aver avuto giovanissimo la direzione della Microsearch Foundation di Sidney, aver partecipato nel 1998 a Lione al primo trapianto al mondo di una mano e avere già pubblicato molti dei suoi 190 libri, capitoli di opere collettive e articoli scientifici anche sulle maggiori riviste internazionali, decide di concorrere per una cattedra di professore di ruolo di prima fascia alla «Insubria» per «malattie dell’apparato locomotore». La materia che già insegnava come «associato» alla Bicocca: «Pareva un bando studiato per me». Errore: «Era destinato ad altri».
Come ricorda l’ultimo dei verdetti giudiziari, il tormentone comincia nell’autunno 2002. Quando, esaminati i candidati alla cattedra, la commissione giudicatrice dichiara «idonei i professori Giorgio Pilato e Paolo Tranquilli Leali e non idoneo il Prof.Lanzetta».
Giusto? Sbagliato? Non ci vogliamo neppure entrare. Perchè se anche Lanzetta fosse ingiustamente considerato un fenomeno nel resto del mondo ma fosse in realtà un somaro casualmente finito a fare il primo trapianto di mano al mondo e gli unici trapianti simili in Italia, il punto è quello che dicevamo: le sentenze vanno rispettate si o no anche nelle università?
Il nodo è questo: convinto che ci fosse una sproporzione abissale fra il curriculum e la mole di lavori scientifici che aveva presentato lui (soprattutto in inglese, tra i quali due saggi su «Lancet») e quelli degli altri due concorrenti, Lanzetta fa ricorso al Tar e il Tar,. seppure con tempi biblici, nel 2006 gli dà ragione «giudicando irragionevole la valutazione negativa della commissione giudicatrice sulla particolare specializzazione del Prof. Lanzetta».
I due professori premiati dall’ateneo ma non dai giudici e la «Insubria» ricorrono al Consiglio di Stato, che di nuovo dà torto a loro e ragione a Lanzetta. A quel punto cosa fa il rettore? Rinnova la «procedura di valutazione», accetta le dimissioni del presidente della commissione, lo sostituisce con un altro e conferma gli altri componenti della «giuria». La quale, un anno dopo la sconfitta in appello (che fretta ci sarà mai…) torna nel novembre 2008 a dichiarare vincitori i professori Pilato e Tranquilli Leali e a bocciare Lanzetta che ha osato contestare il loro giudizio.
La cosa è così «eccentrica» che finisce sul Corriere dove Mario Pappagallo ricorda chi è il trombato («500 interventi all’anno alla mano con il suo team dell’Istituto di Chirurgia della Mano di Monza, con sedi anche a Milano, Bologna e Roma»), raccoglie la sua accusa contro le selezioni nostrane («Concorsi pilotati dove già si sa chi deve vincere e si agisce per demotivare chi vuole partecipare») e scrive: «Il Lanzetta non idoneo a insegnare chirurgia della mano in Italia è una vittima illustre della demeritocrazia italiana, delle lobby delle commissioni giudicanti, del nepotismo radicato nei nostri atenei». Risultato: zero. Come a niente servono le denunce dei siti web nati contro «ateneo-poli».
Cocciuto («ormai ho chiuso con l’università italiana ma questo andazzo deve finire»), Marco Lanzetta torna a fare ricorso. E il Tar, nell’aprile 2009, torna a dargli ragione disponendo «l’annullamento degli atti impugnati». e otto mesi dopo torna a fare lo stesso, stroncando il contro-ricorso della «Insubria», anche il Consiglio di Stato. Che ordina all’università «di rinnovare la procedura di valutazione comparativa annullata e di innovare la composizione della Commissione giudicatrice» per «assicurare condizioni oggettive di imparzialità» dato che già due volte la stessa commissione non aveva rispettato ciò che la magistratura aveva stabilito.
Avete perso il conto? Lanzetta batte Insubria quattro sentenze a zero. Ma non è finita. Nel 2010 l’università rifà nuovamente la selezione: sempre promossi i soliti due, sempre bocciato Lanzetta. Il quale, mai morto, torna in tribunale per l’ennesima puntata della telenovela. Questa volta, gli si schierano contro non solo l’Insubria e i docenti promossi, ma anche il ministero. E siamo alla sentenza finale. Dove la prima sezione del Tar milanese, presieduta da Francesco Mariuzzo, censura che la commissione abbia «dato positivo rilievo a una monografia del Prof. Pilato («La pseudoartrosi dello scafoide») pubblicata dopo la pubblicazione del bando di concorso». Eccepisce che di quella commissione faceva parte «il prof. Gianni Zatti che, avendo collaborato con il prof. Pilato sia in ambito universitario sia nell’attività libero professionale, sia pubblicando un’opera come coautore, sarebbe stato incompatibile alla carica». E infine scrive nero su bianco che certo, una commissione ha «ampia discrezionalità tecnica». E ovviamente «il giudice non può sostituirsi». Però «è anche incontestabile» che «egli non può esimersi dall’accertare l’eventuale erroneità dell’apprezzamento da essa condotto, ove tale erroneità sia in concreto individuabile». Per capirci, se emergono storture macroscopiche «al di fuori dell’ambito dell’opinabilità» allora il magistrato ha sì il diritto e il dovere di intervenire.
Un esempio? «La tecnica del trapianto della mano (esperienza vantata solo dal candidato Lanzetta) non appare essere stata valorizzata rispetto alle diverse altre esperienze degli altri candidati». Un altro? «In 13 delle 15 pubblicazioni presentate il nome del Prof. Lanzetta figura per primo» e c’è una evidente sproporzione rispetto «alla borsa di studio assegnata al candidato Giorgio Pilato dal governo giapponese».
Insomma, dice l’ultima sentenza, l’ultima selezione della Insubria «riproduce i medesimi vizi» delle altre annullate, è «in contrasto» con ciò che aveva disposto il giudice e pur eseguendo formalmente quegli ordini «tende in realtà a perseguire l’obiettivo di aggirarli sul piano sostanziale, in modo da pervenire surrettiziamente al medesimo esito già ritenuto illegittimo». Quindi l’intera procedura «deve essere annullata».
Risultato finale: Lanzetta batte Insubria 5-0. In un Paese serio, davanti a un risultato così, si dimetterebbero il rettore, i commissari, i professori dichiarati vincitori, tutti. Ma questo, si capisce, in un Paese serio e non a Paranomia…